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I rischi sociali ed ambientali della diga sul Rio Inambari, regione di Puno, Perú |
Durante il mio ultimo viaggio in Perú ho avuto modo di percorrere interamente il tratto di “carettera interoceánica” che va da Juliaca a Puerto Maldonado. La strada interoceanica connetterà il porto di Ilo con il paesello di Iñapari, situato alla frontera Perú-Brasile
Avevo appena terminato un avventuroso viaggio nella zona rurale del territorio di Patambuco, con lo scopo di documentare e studiare il sito archeologico detto “Fortezza di Trinchera”. Mentre il mio amico archeologo Ricardo Conde Villavicencio ha continuato il viaggio verso Puno, ho deciso di dormire nel paesello di San Anton, in modo da non allontanarmi dalla mia meta, Puerto Maldonado e il Brasile, per poi entrare nell’Amazzonia boliviana.
L’indomani mattina ho avuto la fortuna di conoscere un conducente di autobus che stava partendo senza passeggeri verso San Gaban, paese situato a circa 600 metri s.l.d.m., nell’ecosistema detto “selva alta”.
E così in circa 6 ore di viaggio lungo la “carretera interoceanica”, sono passato dai 4350 metri s.l.d.m. di Macusani, fino ai 600 m.s.l.d.m. di San Gaban.
L’autista del bus mi ha raccontato di lavorare per il consorzio di ditte brasiliane che hanno in appalto la costruzione della strada.
Dopo Macusani ci siamo immersi nella “neblina” e, anche se era giorno pieno, faticavamo a vedere a dieci metri di distanza. Da un certo punto di vista era meglio non vedere gli strapiombi di centinaia di metri dove purtroppo sono caduti vari bus. In pochi chilometri il dislivello superato è enorme. La strada è tortuosissima e spesso dissestata.
La parte terminata ed asfaltata è un 60% ma il problema principale è la difficoltosa orografia del terreno. Vi sono tratti di strada inondati da fiumi, altri dove la montagna è franata e si è portata via la strada, per cui bisogna procedere su anguste e dissestate vie alternative o altri dove la strada è talmente stretta che si converte in un viottolo, dove si può procedere solo a senso unico alternato. Il “calvario” prosegue anche oltre San Gaban da dove ho proceduto su un bus di linea Juliaca-Puerto Maldonado stipato all’inverosimile. Nel bus invece dei 52 passeggeri permessi, vi erano circa 120 esseri umani pressati come sardine incluso il sottoscritto.
La parte di strada difficoltosa e non terminata, con ponti di fortuna, tratti franati e inondati prosegue pressapoco fino al Rio Inambari (un affluente del Rio Madre de Dios). Una volta raggiunto il paese di Mazuco, in selva bassa, la strada è tutta asfaltata e in buono stato fino a Puerto Maldonado.
Sull’utilità di questa strada non vi sono dubbi: connettere Juliaca con Puerto Maldonado la costa peruviana con Puerto Maldonado e con la frontera con il Brasile servirà principalmente ai peruviani e permetterà di intercambiare i prodotti della selva e della sierra i cui prezzi inesorabilmente caleranno, a seguito dell’abbassamento dei costi di trasporto. Tutto ciò sempre e quando la strada sarà utilizzabile gratuitamente: circolano voci infatti che il consorzio brasiliano otterrà una concessione trentennale dal governo del Perú e farà pagare vari pedaggi per transitarvi.
Se ciò sarà confermato il guadagno dei pedaggi sarà destinato al consorzio brasiliano e i peruviani non otterrano grandi vantaggi in quanto dovranno pagare per transitare su una strada “normale”. Ricordo che la “interoceanica” non sarà una autostrada, ma una semplice strada a una corsia per ogni senso di marcia.
Mentre ero a San Gaban, aspettando il bus che mi ha condotto a Puerto Maldonado ho conosciuto varie persone residenti a Puerto Manoa, un piccolo insediamento situato presso il Rio Inambari. Alcuni di loro mi hanno descritto il faraonico progetto (per ora solo sulla carta), della costruzione della diga di Inambari.
Se si costruirà, questa mega-diga sarà la più grande del Perú e la quinta del Sud America. Avrà una potenza installata di 2 Gigawatt e per costruirla ci vorranno 4 miliardi di $, ma non è chiaro se questi soldi saranno spesi dal governo del Perú o dal consorzio d’imprese brasiliane che si sono aggiudicate la concessione. Nel 2009 infatti il Perú e il Brasile hanno sottoscritto un accordo per la costruzione, nel Perú, di almeno 6 dighe con il fine di produrre energia. In virtù dell’accordo siglato il 75% dell’energia prodotta sarà venduta al Brasile.
La diga, se sarà costruita, causerà lo stravolgimento totale della valle dell’Inambari. Sarà inondata un’area di 410 chilometri quadrati (la diga più grande del mondo, quella delle Tre Gole, in Cina, ha causato l’innondamento di 632 chilometri quadrati).
L’area inondata comprenderà, oltre a Puerto Manoa, una cinquantina di altri villaggi, per un totale di 15.000 persone. Inoltre, incredibilmente, il lago artificiale causato dalla diga, inonderà anche circa 100 chilometri della strada interoceanica che si sta costruendo, pertando sarà necessaria una nuova strada, con ulteriori danni per l’ambiente.
Anche qui non è chiaro se si costruirà prima la nuova strada e poi la diga o viceversa, ma questa seconda opzione sarebbe molto dannosa in quanto interromperebbe per anni una strada di grande comunicazione.
Parlando con gli abitanti di Puerto Manoa sono venuto a sapere che coloro i quali sono in possesso di titolo di proprietà (la minoranza), otterranno una indennizzazione dallo Stato, mentre coloro che vivono da decenni in un pezzo di terra che coltivano, ma del quale non sono legittimamente proprietari, non otterranno alcun indennizzo.
Quest’ultimo dato è scioccante: in Perú molti residenti poveri della Sierra (l’altopiano andino) si sono trasferiti negli anni 1950/1960 nella selva, e hanno vissuto come contadini per tutti questi anni. Sradicarli dal loro ambiente sarebbe iniquo soprattutto se non gli si darà compensazione.
La diga di Inambari causerebbe poi enormi danni a livello ambientale. Il territorio inondato corrisponderebbe alla cosidetta zona di acceso al Parco Nazionale Bahuaja Sonene, famoso per la sua altissima biodiversità, e individuato dal Nacional Geographic Society come uno dei luoghi naturali più importanti al mondo.
Uno degli argomenti a difesa del progetto è che la zona, proprio perché vi passa la strada interoceanica, è già un’area compromessa dal punto di vista ambientale e pertanto è giusto sfruttarla ulteriormente.
Dal mio punto di vista le valli del Rio San Gaban e del Rio Inambari sono ancora quasi intatte e l’impatto ambientale della strada interoceanica non è niente, comparato al danno sociale e ambientale che potrebbe causare la mega-diga.
In Italia, il mio paese d’origine, intere vallate sono state purtroppo cementificate completamente per costruirvi industrie inquinanti di ogni tipo e autostrade dove transitano costantemente camion enormi, in nome del cosidetto progresso. Certo, il reddito pro-capite è cresciuto molto in Italia negli ultimi 30 anni, ma insieme ad esso sono cresciuti anche i tumori causati appunto dall’inquinamento industriale e dall’eccesso di traffico veicolare.
Le vallate di San Gaban e Inambari sono ancora relativamente vergini e forse sarebbe più sensata la costruzione di piccole dighe con un impatto ambientale basso.
In definitiva si ha l’impressione che la costruzione di questa inmensa diga, come anche della strada interoceanica, rispondano ad interessi di imprese estere private e che queste immense opere non si costruiscano per il bene comune degli abitanti del Perú.
Si spera che l’intero progetto venga riconsiderato, magari costruendo piccole dighe a basso impatto ambientale, in modo da non causare danni ne alla popolazione locale né all’ambiente naturale, inteso come animali e piante.
YURI LEVERATTO
Copyright 2010
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Yuri Leveratto
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06/11/2010 |
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