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L’America Latina e il caso Fujimori: ritorno dell’impunità o rottura del circolo vizioso?

Attesa internazionale per l’inizio del giudizio dell’ex presidente peruviano previsto per la fine di novembre

Riportano i giornali peruviani che la struttura della Direzione delle Operazioni Speciali della Polizia, approntata per accogliere gli atti del processo all’ex presidente Alberto Fujimori alla fine di novembre, è praticamente pronta, secondo quanto informa il responsabile del Potere Giudiziario, Francisco Tavara (http://www.correoperu.com.pe/indice.php).
Le accuse di cui “el chino” (“il cinese”, soprannome di Fujimori dovuto alle sue origini orientali e, soprattutto, alla sua doppia nazionalità, peruviana e giapponese) dovrà rispondere pubblicamente si riferiscono al periodo 1990 – 2000, anni in cui il mandatario detenne il potere e provocò una deriva autoritaria con l’autogolpe del 1992, costruì un nuovo testo costituzionale approvato ad hoc nel 1993, anche per permettere la sua rielezione che era proibita dalla Carta precedentemente in vigore, e, infine, attuò la soppressione del Parlamento nazionale e del Potere Giudiziario.
Alla fine degli anni ottanta il Perù viveva una spaventosa crisi economica e politica che, dopo i frustranti cinque anni di presidenza di Alan Garcia, sostenuto dallo storico partito APRA (Alianza Popular Revolucionaria Americana), portò all’emersione di uno sconosciuto matematico, Fujimori, che sconfisse nel secondo turno elettorale lo scrittore Mario Vargas Llosa, presentandosi come un candidato nuovo, diverso dai politici e tecnocrati tradizionali cui era abituato il popolo peruviano ma che, alla fine dei conti, utilizzò un mix di misure socio-economiche di tipo neoliberale, ortodosso e autoritario.
Le accuse concrete che ora gli si rivolgono, articolate in sette capitoli, riguardano la violazione dei diritti umani e le pratiche di corruzione. 1991. Si consuma la mattanza di 15 membri della comunità locale nel quartiere periferico di Barrios Altos a Lima, dove una quarantina di persone, riunitesi per una festa, vengono interrotte e massacrate a suon di mitra da un gruppo dei servizi segreti conosciuto come “La Colina”. per giustificare la strage, viene utilizzata la scusa ufficiale della lotta al terrorismo visto che in quel periodo l’opinione pubblica, in particolare la classe media urbana, era molto sensibile al tema in un paese dove la guerriglia era una forza attiva e minacciosa per gli apparati statali, da decenni latitanti, insensibili e inadempienti nei confronti della maggioranza della popolazione costretta alla povertà estrema, all’emarginazione e, forse nel migliore dei casi, all’emigrazione soprattutto in paesi come la Spagna, l’Italia e gli Stati Uniti.
1992. Nella stessa Lima, nell’Università Enrique Guzman Valle a La Cantuta, vengono sequestrati e uccisi 9 studenti e un docente sospettati di avere connessioni con Sendero Luminoso, la principale forza d’opposizione armata e clandestina del paese. Negli anni novanta l’organizzazione di Sendero Luminoso sarà disarticolata con strumenti repressivi e violenti e poi con l’arresto del suo leader Abimael Guzman nel 1992.
Nel dicembre 1996, un altro gruppo, il MRTA (Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru) sarà protagonista del sequestro di 600 persone, appartenenti alla elite peruviana, nella residenza dell’ambasciatore giapponese ma finirà per fare il gioco di Fujimori che, dopo aver ordinato un’operazione militare che riesce a liberare tutti gli ostaggi, tranne uno che rimane morto sul campo, potrà esibire un nuovo “successo internazionale” per legittimare la sua progressiva concentrazione dei poteri.
Fujimori ha anche accumulato una serie di delitti “minori” come il pagamento di favori e silenzi per 15 milioni di dollari al suo principale collaboratore, Vladimiro Montesinos, il gran complice del regime che nell’ottobre 2000 preferì riparare a Panamà e poi in Venezuela durante gli mesi di agonia del “suo” Presidente.
Questi dovrà altresì costruire una difesa per le accuse di intercettazione telefonica a politici, imprenditori e giornalisti, il furto di 40 valigie nella casa della moglie del suo collaboratore, il citato Montesinos, il sequestro di un impresario e di un giornalista, mazzette a parlamentari e malversazione di fondi pubblici per l’acquisto di un canale TV.
L’apertura del processo a Fujimori in Perù è stata possibile grazie all’estradizione concessa dalla Corte Suprema cilena il 22 settembre scorso, arrivata dopo quasi due anni dalla sua detenzione a Santiago il 6 novembre 2005.
Da cinque anni Fujimori risiedeva in Giappone dove era scappato per evitare la crisi politica e istituzionale che lo attanagliava in Perù. Infatti, nonostante la terza vittoria consecutiva alle elezioni nel 2000, l’ex Presidente, pressato da numerosi scandali e da un clima d’instabilità politica, dà le dimissioni e fugge in Giappone, paese di cui è cittadino e che non può concedere l’estradizione in Perù, ripetutamente invocata (http://www.un.org/spanish/news/audiovis/radio/04/sept/04092200.htm) per motivi costituzionali interni.
Nel novembre 2005 “el chino” decide di salire sul suo jet privato e fare tappa a Tijuana, in Messico, dove passa inosservato (la “svista” farà salare alcune teste nell’Interpol di Tijuana). Poi riparte per Santiago, Cile, per sostenere da lì la sua candidatura alle elezioni presidenziali peruviane in cui Alan Garcia, l’attuale Presidente, ha vinto al secondo turno. Il viaggio di Fujimori è risultato quanto meno sfortunato, visto che è stata bocciata dalle autorità elettorali del Perù la sua candidatura con il partito SI CUMPLE, che, in spregio al rispetto delle vittime delle stragi perpetrate durante il mandato de el chino, ancora in piena campagna elettorale, tappezzava i palazzi più imponenti di Lima con gigantografie di un Fujimori sorridente anche se già recluso e pregiudicato.
Intanto il candidato che “sì compie e adempie” era finito immediatamente agli arresti presso la Scuola della Gendarmeria cilena. Per cercare una via di scampo Fujimori s’è candidato anche alle elezioni del 29 luglio 2007 per ottenere disperatamente un seggio al Senato del Giappone, ma è stato sconfitto. Sorti distinte ha avuto, invece, sua figlia Keiko Fujimori, che a soli 32 anni s’è imposta, incredibilmente, come la parlamentare peruviana più votata alle elezioni del 2006 con oltre seicentomila voti e si vocifera già riguardo ad una sua possibile candidatura alle prossime presidenziali del 2011.
Questo risultato testimonia la polarizzazione della società peruviana e ricorda, anche se con una minor carica emozionale e un significato storico più limitato, gli spasimi e gli estremi che vive la nazione cilena, profondamente divisa tra i sostenitori acerrimi, ancora oggi, del dittatore Generale Augusto Pinochet e gli oppositori, portatori di diversi orientamenti politici ma anche di un comune senso di rifiuto verso la destra più reazionaria e l’eredità di quasi vent’anni di dittatura (1973- 1990).
Attualmente tutti i membri del triumvirato che ha esercitato il potere in Perù negli anni novanta si trovano in carcere e ricordano simbolicamente la fine di un regime militarizzato che sembrava indistruttibile fino a pochi anni fa.
Infatti, fanno compagnia all’ex Presidente, l’ex consigliere e capo dei servizi segreti, Vladimiro Montesinos, detenuto nella Base Navale del Callao, e Nicolas de Bari Hermoza, ex comandante generale dell’esercito dal 1992 al 1998, recluso nel carcere di San Jorge. Le testimonianze dei due luogotenenti stanno compromettendo sempre più la posizione e la difesa del loro ex capo.
La vicenda peruviana, con il processo a Fujimori che inizierà il 24 novembre, rappresenta una svolta importante per l’America Latina, continente straziato dall’impunità, dalla violazione dei diritti umani e dal continuo riproporsi della violenza e della repressione di Stato (http://fainotizia.radioradicale.it/2007/05/10/diritti-umani-e-cultura-dell-impunita-in-america-latina-dalla-guerra-sucia-al-conflitto-di-oaxaca e http://espora.org/comitecerezo/).
Per la rottura del circolo vizioso delitto – impunità (immunità), qualcosa si sta muovendo anche in terra argentina con le prime condanne e la riapertura dei processi per i membri più sanguinari dell’ultimo governo militare (1976 – 1983) e, con gravi ritardi, anche il Cile comincia a svegliarsi da una letargia ventennale con l’apertura dei casi legati agli arricchimenti illeciti della famiglia Pinochet anche se la “giustizia” ha lasciato invecchiare e morire il dittatore golpista senza nessuna condanna definitiva contro di lui. Verso nord, lascia invece poche speranze di risoluzione il caso dell’ex dittatore genocida guatemalteco (1982 – 1983) Efrain Rios Montt, ormai ottantenne, il quale è riuscito a ottenere l’immunità giuridica grazie al seggio ottenuto in parlamento con la formazione politica d’estrema destra FRG (Frente Repubblicano Guatemalteco).
Le recenti elezioni in Guatemala hanno quindi vanificato gli sforzi e i tentativi dell’avvocato spagnolo Benito Morales che aveva ottenuto un ordine internazionale di detenzione con fini d’estradizione contro Rios Montt il quale, per questo motivo, non può più varcare le frontiere del Guatemala.

Autore: Fabrizio Lorusso
Il: 29/10/2007
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