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I popoli della Sierra Nevada di Santa Marta |
Descrizione della Sierra Nevada di Santa Marta (Colombia)
e dei suoi popoli indigeni
La Sierra Nevada di Santa Marta è un massiccio immenso, che si estende su un’area di circa 60.000 km quadrati (più di Lombardia e Piemonte messi assieme), nel nord della Colombia, nei dipartimenti di Magdalena, Cesar e Guajira. Le cime piu alte della Sierra, (e di tutta la Colombia), sono il picco Colon e il picco Bolivar, entrambi di 5775 metri sul livello del mare.
Nella Sierra Nevada di Santa Marta ha vissuto l’uomo sin da tempi remotissimi. Si stima che i primi insediamenti umani risalgano a dodicimila anni fa. All’epoca della conquista spagnola, nel 1525, quando Rodrigo de Bastidas fondo la città di Santa Marta, il popolo che abitava la parte nord della sierra erano i Tayrona. Essi vivevano di agricultura, di caccia e pesca e non conoscevano la ruota, nè l’utilizzo degli animali, nè la scrittura. Con gli spagnoli i rapporti furono inizialmente amichevoli, poi sucessivamente i Tayrona furono decimati, non solo uccisi in maniera cruenta, ma soprattutto annientati dalle malattie portate dai conquistatori. Gli spagnoli non trovarono i giacimenti d’oro che speravano e così iniziarono a spingersi verso l’interno della Colombia.
Oggi, nella Sierra Nevada di Santa Marta sopravvivono i discendenti dei Tayrona, quattro etnie differenti ma imparentate fra di loro. Nel nord, vicino al mare vivono i Wiwa. All’interno vivono i Kogi e gli Arzario, nelle vicinanze della città perduta dei Tayrona. Nel sud della Sierra invece, vivono gli Arhuakos, che si definiscono Ika.
Per raggiungere il villaggio dei Kogi, detto Mutanji, si parte da Mamey, paesello a due ore e mezza da Santa Marta. Da Mamey si inizia a camminare inerpicandosi per anguste e fangose mulattiere. Il tragitto fino a Mutanji dura sei o sette ore di cammino, ma è consigliabile fermarsi a riposare una notte presso il chiosco di Adan e fare il bagno in un torrente dalle acque limpidissime.
L’indomani si giunge a Mutanji, il paese dei Kogi (pronuncia Koghi).
E’ preferibile presentarsi subito al Mamo del villaggio, l’autorità spirituale. Di solito è difficile instaurare in breve tempo un rapporto di fiducia con questa gente, innanzitutto perché sono estremamente diffidenti verso i non indigeni, ma anche perché non padroneggiano pienamente la lingua spagnola. Il loro idioma è il Kogi, una delle lingue derivate dal Chibcha.
Il Mamo è la figura centrale della vita dei Kogi. Lui è in contatto con le forze della natura, lui sa come trattare con i non Kogi (colombiani o stranieri che siano), lui può attrarre le forze del bene e respingere le forze del male. La gente del villaggio è sottomessa al potere del Mamo. Se lui chiede loro di lavorare un campo, o di accudire gli animali, loro lo fanno senza richiedere alcun compenso.
Gli uomini utilizzano il “popóro”, un utensile concavo dove, con un’asta di legno mischiano della bava di lumaca, con una pietra calcarea detta cal, che trovano sulle rive dell’oceano. Poi si infilano questa sostanza in bocca, dove tengono costantemente un bolo di coca. La foglia di coca, mischiata alla bava di lumaca e alla pietra calcarea dà un effetto eccitante, e calma la fame e la sete. Per loro la coca è una cultura e il poporo è un oggetto personale importantissimo. Le donne non usano il poporo e non masticano coca. Sono totalmente sottomesse e a loro non è consentito imparare lo spagnolo. Questa gente vive al di fuori del “nostro mondo” e si considerano guardiani della città perduta, costruita nel secolo XV a circa tre ore di cammino più in alto. Attualmente nessuno vive nella città perduta.
Per accedervi vi sono milleduecento scalini di pietra che portano ad una spianata dove vi sono delle piramidi tronche.
I Kogi vivono in capanne di fango solidificato coperte di paglia. Insieme ai Kogi vivono gli Arzario, più aperti al dialogo e più interessati all’uso della tecnologia moderna.
Per i Kogi invece ogni nuovo apporto di tecnología è da considerarsi contrario alla loro cultura.
Per raggiungere invece la terra degli Aruhakos, bisogna innanzitutto raggiungere la città di Valledupar, situata a circa quattro ore di bus da Santa Marta. La città, caldissima, è famosa per un tipo di musica lenta da ballare in coppia detta vallenato.
Da Valledupar si raggiunge in circa due ore di “buseta” il paesello di Pueblo Bello, situato a circa millecinquecento metri d’altezza sul livello del mare.
Nel paese, dove già si vedono gruppi di Aruhakos, vestiti con il loro tradizionale abito bianco e con il loro copricapo tipico detto gorro, si contratta un fuoristrada per raggiungere Nabusimakè. Di solito si sale con vecchie ma robuste Toyota degli anni ottanta.
Il percorso per Nabusimakè, il paese degli Aruhakos, dura circa tre ore.
E’ un fuoristrada estremo, e a volte anche pericoloso in quanto le pioggie, spesso giornaliere, trasformano il percorso in un mare di fango, e il terreno si spacca in profondi “canyons”. Alternativamente si può giungere a Nabusimake camminando, in circa sette ore, ma non è consigliabile.
Si sale su per la montagna per circa due ore, a circa tremila metri sul livello del mare. Poi si scende nella valle di Nabusimakè, un vero paradiso di piante e fiori.
Il paesaggio è meraviglioso. Le piante più comuni sono le agavi, la bouganvillea e le orchidee. Prati verdissimi a perdita d’occhio e torrenti dalle acque limpide. Sembra realmente di essere giunti nel paradiso terrestre, un luogo ancestrale dimenticato dal “mondo”.
Gli Aruhakos, o Ika, come loro si definiscono, vivono in questa valle da tempi remotissimi e praticano l’agricoltura e l’allevamento del bestiame. C’e’ un villaggio, dove ci si registra con il commisario e si rende noto il motivo della visita. Dopo aver ricevuto l’autorizzazione al soggiorno, e aver pagato un obolo simbolico, si puo iniziare ad esplorare il luogo, stando però attenti a non fare troppe domande per non inimicarsi la gente del villaggio. Nel paesello, vi sono alcune casupole di fango essiccato, mentre nella valle vi sono alcune dimore di legno e muratura.
Nella valle vivono anche dei meticci, discendenti di Aruhakos mischiatisi con colombiani. I meticci sono cristiani e non parlano la lingua Ika, ma si esprimono solo in spagnolo.
Anche per gli Aruhakos la figura centrale è il Mamo, massima autorità spirituale. Gli Aruhakos credono in Dio, che viene chiamato Kaka Serangua, il creatore dell’universo. Credono che Dio abbia creato prima i popoli della Sierra Nevada di Santa Marta e poi tutti gli altri popoli della Terra, che vengono chiamati bunachi.
Nella valle si crede fermamente che i vari Mamo del luogo comunichino mentalmente con Dio e attuino in modo che i non Ika, ovverosia tutti i popoli della Terra, preservino la natura.
E’ un ipotesi un po’ suggestiva ma noi, abituati a vivere in città e respirare i gas di scarico delle auto, possiamo provare con certezza che le loro credenze siano false? Non credo proprio.
A Nabusimakè vi è una scuola, paragonabile al nostro liceo. Maschi e femmine vi studiano varie materie, tra le quali matematica, geografia, storia e cultura e lingua Aruhaka. L’idioma Aruhako, anch’esso derivato dal chibcha viene scritto con l’alfabeto latino, ma vi sono alcune differenze, ad esempio per ottenere un suono simile alla K, si utilizza una A rovesciata.
Ho parlato con vari ragazzi, e tutti sono molto convinti della purezza della loro gente, e dell’importanza nel preservare la loro lingua e la loro cultura.
Questa gente, sia i Kogi che gli Aruhakos, vivono in un mondo a parte, non utilizzano la luce elettrica nè l’acqua corrente.
Queste etnie, che vivono nella Sierra, sono solo due delle ottanta diverse che attualmente vivono in Colombia. Nella costituzione della Colombia le culture indigene vengono riconosciute e le lingue indigene, sessantaquattro, vengono considerate come ufficiali.
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Autore: |
YURI LEVERATTO - www.yurileveratto.com
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Il: |
29/06/2007 |
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